Sabato 2 aprile nella Chiesa di San Giuseppe di Alba si è svolta la benedizione della scultura che rappresenta la Madonna di Dachau – una copia della statua venerata presso questo primo campo di concentramento –, da parte del vescovo della diocesi albese, Sua Eccellenza Marco Brunetti.

La cerimonia è stata accompagnata dal coro della Stella Alpina e da letture che narrano la vicenda della statua così venerata.

In tale occasione inoltre è stato presentato il libro “La Madonna di Dachau e Padre Girotti”.

Commissionata dall’Associazione Beato Giuseppe Girotti di Alba ed esposta nella Sala dei Giusti tra le Nazioni della chiesa di San Giuseppe, la scultura di Nostra Signora di Dachau rappresenta la copia di una statua che, fortunosamente, era arrivata nel campo di Dachau nella baracca destinata ai preti e ai religiosi. Prima di giungere alla Chiesa di San Giuseppe di Alba, la statua della Madonna è stata collocata momentaneamente (31 dicembre 2021-19 gennaio 2022) presso la chiesa di San Bartolomeo di Boves, paese dello scultore Aldo Pellegrino che ha realizzato la riproduzione della scultura e soprattutto luogo del primo eccidio nazista in Italia, accanto all’altare dei sacerdoti martiri don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo morti durante la strage.

La statua è stata collocata nella Sala dei Giusti tra le Nazioni, intitolata a beato Giuseppe Girotti, perché il Padre trovò la morte proprio a Dachau. Proclamato Beato nel 2014, Girotti, originario di Alba, classe 1905, durante il Secondo conflitto mondiale si impegnò per proteggere e mettere in salvo circa 150 Ebrei. Per questa ragione venne  trasferito nei lager di Gries e, infine, di Dachau, dove arrivò nell’ottobre 1944. Nel lager il sacerdote portò avanti la sua missione testimoniando la parola di Dio agli altri internati. Insieme con loro pregò una statua della Vergine alla quale venne attribuito il nome di Nostra Signora di Dachau. Il 1 aprile 1945, giorno di Pasqua, Girotti venne ucciso da un’iniezione di benzina.
Il campo di Dachau colpisce per il numero di croci. Ce ne sono tante, come in nessun altro campo di concentramento nazista. In effetti Dachau non era un campo di sterminio, ma di concentramento e di lavoro, il primo, fondato nel 1933. Dachau era stato aperto per concentrarvi tutti coloro che erano contrari al potere hitleriano: politici, giornalisti ed editori di testate contrarie al partito, parlamentari, artisti, pensatori, oltre agli omosessuali e a comunità come Zingari ed Ebrei. Migliaia di Ebrei vennero portati qui per essere poi avviati verso Auschwitz.
Nel campo furono rinchiusi 1780 sacerdoti cattolici polacchi e 1000 sacerdoti tra cattolici, evangelici e ortodossi provenienti da 18 nazioni. Erano tutti alloggiati in una baracca che poteva contenere 200 persone. Più di 1000 non tornarono mai alle loro parrocchie. La baracca che i preti occupavano era la 26. C’era anche una cappella dove i preti tedeschi, non i polacchi o gli altri, potevano celebrare la Messa o la Santa Cena. Erano tutti alloggiati in una baracca che poteva contenere 200 persone. Più di mille non tornarono mai alle loro parrocchie. La baracca che i preti occupavano era la 26 e ci fermiamo a lungo a descrivere le loro condizioni di vita. C’era anche una cappella dove i preti tedeschi, non i polacchi o gli altri, potevano celebrare la Messa o la Santa Cena.
Oggi nel campo si trova anche il convento delle suore Carmelitane di clausura, il Monastero del Preziosissimo Sangue, costruito su un tratto di mura del campo stesso. La struttura ripete la struttura delle baracche, ma ha la base a forma di croce. In Chiesa si può ammirare la statua della “Madonna di Dachau” che si trovava nella cappella del blocco 26, quello dei parroci.

Letsdialogue: Le croci di Dachau
Le baracche riservate ai religiosi erano frutto di un compromesso tra nazisti e Vaticano, che prevedeva anche la possibilità di celebrare Messa in una cappella di fortuna (blocco 26).
Joseph Martin Nathan, vescovo ausiliario dell’arcidiocesi morava di Olomouc, donò un elemento di arredo in grado di trasformarsi in un oggetto di devozione da parte dei prigionieri: una statua lignea della Madonna, conosciuta ora come Nostra Signora di Dachau.
Altre testimonianze ci arrivano dal libro Rue de la libertè, basato sull’esperienza di Edmond Michelet, partigiano francese imprigionato a Dachau che divenne ministro con De Gaulle. A proposito del luogo di culto, scrisse: «Una statua della Vergine fu posta a destra dell’improvvisato altare; fu chiamata sotto varie invocazioni ma tutti decisero di implorarla sotto il nome di Nostra signora di Dachau».
Aldo Pellegrino, realizzatore della copia, racconta così il suo lavoro: «Non potendo, a causa della pandemia, organizzare un viaggio per visionarla di persona, Renato Vai e don Renzo Costamagna mi hanno fornito delle fotografie e insieme abbiamo preparato un bozzetto. L’obiettivo era creare una Madonna dal volto dolce e materno: penso di essere riuscito a realizzarlo. Dopo la morte di don Renzo, Renato ha continuato a passare a trovarmi per vedere l’andamento dei lavori e darmi suggerimenti. L’altezza, 130 centimetri, è uguale all’originale. Ho usato il legno di tiglio, incollando una sull’altra varie tavole per creare un blocco da scolpire ed evitare che, anche a distanza di anni, la statua possa creparsi, come potrebbe succedere usando un tronco. All’interno, per scongiurare quest’ipotesi, ho lasciato un’anima vuota: le fibre restano arieggiate e si conservano nel migliore dei modi. L’originale, probabilmente, è in legno di cirmolo, pianta che ha nodi ogni trenta centimetri. Le rifiniture le ho realizzate con mordenti a cera, senza una policromia ma soltanto usando il mallo di noce con tonalità leggermente diverse. L’incarnato è rimasto più chiaro rispetto al resto, perché non ho voluto dare adito a confusioni: molti sono convinti che si tratti di una Madonna nera».

 

“Sono passati due anni dal 6 marzo 2020, data a partire dalla quale come Associazione Beato Giuseppe Girotti abbiamo cercato di approfondire la conoscenza delle sofferenze patite nei lager nazisti e di come i superstiti hanno portato a conoscenza le sofferenze patite. La nostra attenzione è stata attirata da una statua della

Vergine Maria nella baracca 26 del campo di sterminio di Dachau dove morì il giorno di Pasqua, primo aprile 1945, il nostro padre Giuseppe Girotti. La statua era giunta nel capo di Dachau in maniera fortunosa, subito protetta nelle braccia dei preti, dove era venerata per il suo sguardo dolce che “disarma l’odio”. La copia di questa statua ha per noi lo scopo di non dimenticare quanto accaduto e di amare, non odiare.

Ancora si ricordano i superstiti dei campi di sterminio nazisti che, durante i loro raduni ad Alba negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, raccontavano con voce calma i loro ricordi sull’applicazione del verbo “odiare” in tutte le sue varianti in quell’orribile luogo di dolore. Sulla loro pelle avevano sentito applicare le regole della scuola del genocidio dove sulla base di presunte scoperte scientifiche interi popoli furono condannati al martirio.
In questo scenario dove l’uomo veniva visitato e catalogato come un oggetto prima di essere ritenuto degno di vivere, si avvaloravano teorie economiche che portarono alla divisione e all’odio tra le classi sociali aizzate in una competizione che portò al conflitto della Seconda guerra mondiale.
Negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso si ricordano i commenti e i fasti che causavano questi raduni: “Ora c’è benessere diffuso, non ci sono tensioni sociali quindi tutto questo non succederà mai più…è superfluo ricordare il dolore, fa solo stare male!”. Invece i fatti odierni testimoniano che questo sta di nuovo accadendo.
La mente umana continua a odiare, anche senza il pretesto della razza. L’odio viene anche ripescato da una non lettura della storia, quindi gli sbagli passati non sono condivisi, si usano i media per divulgare nuovi pregiudizi e nuovi pretesti per odiare.

Ricordiamo il motto Né odio, né oblio”.

Renato Vai, Presidente dell’Associazione Beato Giuseppe Girotti