I cammini dell’Umanità, con pochi incontri. Recensione della mostra “ODISSEE. Diaspore, invasioni, migrazioni, viaggi e pellegrinaggi.”
Come scriveva Pascal, forse “l’infelicità degli uomini viene da una sola cosa, non sapersene stare in pace in una camera”, ma a volte non è
possibile starsene a casa propria. Negli ultimi anni, data l’attualità del tema, gli studiosi di discipline come la storia, la storia dell’arte, l’archeologia e l’antropologia si sono spesso interrogati sulla natura e sulle conseguenze di questi spostamenti, nella maggior parte forzati dalle circostanze più varie. Molto recente è la pubblicazione oltralpe degli atti del convegno tenutosi a Parigi nel 2015 “archeologie des migrations” a cura dell’INRAP, Institut National des Recherches Archéologiques Préventives, e del Musée National de l’histoire de l’Immigration. Ancora più recente è l’incontro tenutosi presso il palazzo del turismo di Riccione che ha visto la partecipazione di studiosi come Andrea Augenti e Franco Cardini.
Tali riflessioni sono alla base della mostra “ODISSEE. Diaspore, invasioni, migrazioni, viaggi e pellegrinaggi” che si è conclusa in questi giorni. Allestita nel suggestivo spazio della corte medievale di Palazzo Madama, l’esposizione, ideata dal direttore Guido Curto e curata insieme agli storici dell’arte del museo, ha posto in luce la solidità del legame che unisce la dinamicità propria dell’essere umano alla sua proverbiale creatività artistica.
Con la storia del capoluogo piemontese visibile sotto i piedi, i visitatori possono compiere un autentico viaggio nelle culture che questi spostamenti hanno generato, attraverso un percorso che, in ordine cronologico, si snoda attraverso dodici tappe: la preistoria, i viaggi mitologici di Ulisse ed Enea, la Diaspora ebraica, l’espansione dell’impero Romano, le cosiddette invasioni Barbariche, l’espansione Islamica, le Crociate, i Pellegrinaggi, le Esplorazioni, le Colonizzazioni, l’emigrazione europea verso le Americhe tra milleottocento e inizio ‘900, le migrazioni contemporanee.
La mostra è stata resa possibile grazie ai numerosi e significativi prestiti di musei e istituzioni culturali di Torino e del territorio, quali i Musei Reali di Torino, il Museo Egizio, il Museo Regionale di Scienze Naturali, il Museo di Anatomia Umana, il Museo Archeologico di Aosta, il Museo Leone di Vercelli, la Fondazione Arte, storia e cultura ebraica a Casale Monferrato e nel Piemonte Orientale Onlus, la Comunità ebraica di Torino e la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo. Altre testimonianze sono state concesse tra altri importanti luoghi della cultura italiani, tra cui il Museo Nazionale del Bargello di Firenze, il Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, Palazzo Ducale di Urbino e il Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico Luigi Pigorini. Arricchisce la sezione dedicata all’emigrazione italiana tra Otto e Novecento anche un significativo prestito proveniente dal Musée Savoisen di Chambery.
Un ricco calendario di eventi, destinati ad ogni tipo di pubblico, ha contribuito a valorizzare l’esposizione e a riflettere su questo attualissimo tema.
Alcune personalissime riflessioni
Sin dal momento in cui ci si addentra all’interno dello spazio espositivo, prima ancora di leggere il primo pannello o di visionare la prima vetrina, non si può non rimanere colpiti dalla location della mostra. Infatti, al di sotto del pavimento trasparente, sono visibili numerosi resti archeologici datati tra l’età romana e l’età moderna che, nel loro insieme, grazie anche ad un’intelligente illuminazione, conferiscono suggestività all’esperienza di visita.
Volgendo lo sguardo di fronte a sé, oltre alcune postazioni su cui ci si può accomodare per gustarsi la piacevole atmosfera dell’ambiente, emerge un’antica piroga di Panama, proveniente dai depositi del Museo civico di Arte Antica di Palazzo Madama, che diventa emblema del viaggio nei secoli e che, sin da subito, trasmette alla mostra una prospettiva globale.
Quest’ultimo aspetto è confermato dall’esposizione che, nel suo insieme, permette al visitatore di rendersi conto di come, sin dagli albori, i cammini dell’Uomo abbiano prodotto beni culturali. Attraverso le dodici sezioni – dal mondo romano ai vetrai di Altare emigrati in Argentina, dall’espansione islamica alla diaspora ebraica, dai viaggi di Ulisse alle colonizzazioni europee – risulta molto forte infatti l’interazione tra gli spostamenti degli esseri umani, sottolineati anche grazie all’ausilio di puntuali carte geografiche, e la produzione artistica. Tale dato viene sottolineato anche dal prestigio e dalla significatività degli esempi di cultura materiale esposti: in particolare, emergono gli oggetti liturgici e una riflessione sui pellegrinaggi propri delle varie fedi religiose; reperti di età romana assunti a simbolo della globalizzazione a cui essi diedero vita e della potenza militare che si rivelarono essere; testimonianze di quei popoli che, muovendosi verso l’attuale Europa, posero fino a quell’Impero; i capolavori che i vetrai di Altare realizzarono in America Latina a partire dagli anni ‘40. L’unica eccezione è forse data dalla prima vetrina nella quale l’attenzione viene irrimediabilmente rivolta alla relazione tra evoluzione umana e spostamenti piuttosto che al rapporto tra viaggio e creatività artistica.
In definitiva, la mostra ha rappresentato un’esperienza di visita assolutamente piacevole e fonte di riflessione grazie alla selezione dei reperti esposti e all’allestimento in cui sono stati inseriti.
Probabilmente, però, la mostra ha un difetto di ambizione – non tanto nella selezione dei reperti o nella realizzazione dell’allestimento, quanto nel messaggio che si sarebbe potuto trasmettere. Nella storia, gli esseri umani, stupefacenti portatori di idee, si sono incontrati con altri loro simili e, tra essi, si sono instaurati diversi tipi di rapporti più o meno conflittuali. Come gli uomini, anche le diverse sensibilità artistiche si sono incontrate e, come già teorizzava quell’attentissimo studioso che è stato Richard Ettinghausen, hanno spesso generato un processo che, successivamente, ha portato alla creazione di linguaggi figurativi nuovi.
Esistono testimonianze artistiche che evidenziano un dialogo tra diversi linguaggi figurativi? All’interno di un reperto o di un’opera d’arte, che rapporto hanno queste diverse sensibilità? Quali, tra i pregevoli reperti esposti, riflettono una minore o maggiore interazione tra popolazione locale e nuovi arrivati? Esistono testimonianze portatrici di rapporti pacifici o di rapporti bellicosi? In che modo, un maggiore peso storico si è tradotto nell’arte? Per fornire alcuni esempi, sarebbe stato auspicabile una riflessione riguardante l’incontro tra arte germanica e arte romana dopo le invasioni, i rapporti tra l’arte omayyade e l’eredità ellenistica o tra quest’ultima e il linguaggi figurativo romano. Dal punto di vista religioso, un maggiore accento avrebbero meritato quelle testimonianze artistiche simboli di dialogo tra le maggiori fedi. Una parziale risposta a queste domande è stata individuata nell’esposizione di alcuni reperti provenienti dalla nostra Penisola che rispecchiano il gusto islamico. Ma, forse, in questo senso, si poteva fare di più, soprattutto in ragione dell’altissimo livello delle testimonianze artistiche esposte, dell’allestimento e della location.
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