Alba, luglio 2014: riemerge dal sottosuolo la “porta Castello” o “di soccorso”
La Soprintendenza per i Beni archeologici del Piemonte diffonde le prime notizie sull’ennesima scoperta archeologica che il sottosuolo albese ha svelato. Riemergono nel quadro dei lavori per l’ampliamento della rete del teleriscaldamento cittadino da parte della multiutility Egea, i resti della porta medievale orientale della città: nuovi dati arricchiscono la conoscenza di un settore urbano conosciuto meno di altri.
Il rinvenimento è di sicuro rilevo e merita certamente una qualche sistemazione didascalica sul luogo, che vada ad ampliare il già esteso percorso archeologico cittadino (32 tappe, oggetto delle visite di Alba Sotterranea. Il passato è sotto ai tuoi piedi!)
Infatti,l’ assistenza archeologica effettuata ad Alba in occasione della posa dei tubi del teleriscaldamento in piazza Mons. Grassi (precisamente sul lato della piazza corrispondente al prolungamento di Via Acqui verso Corso Coppino, dunque all’esterno della cinta romana), commissionata da EGEA Spa e diretta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte (funzionario di zona dott.ssa S. Uggé) ha messo in luce un tratto del muro di cinta medievale con relativa porta.
Lo studio dei dati documentari e soprattutto cartografici, unitamente ai risultati delle indagini archeologiche condotte ad Alba dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte in diverse occasioni (in particolare tra il 1989 e il 1993, con riprese e integrazioni in anni recenti) ha già permesso di ricostruire con sicurezza il tracciato medievale delle mura cittadine per il settore sudoccidentale, accertando l’esatta portata dell’ampliamento meridionale rispetto alla cinta muraria romana e l’edificazione della porta di S. Martino (per approfondimenti si rimanda a vari contributi editi in Alba. Una città nel Medioevo. Archeologia e architettura ad Alba dal VI al XV secolo, a cura di Egle Micheletto, Alba 1999). Il muro di cinta bassomedievale, emerso anche per lunghi tratti in alcuni contesti indagati archeologicamente (ad es. nel cortile di Via XX Settembre 7, in occasione dei lavori di ridestinazione del vecchio Cinema Corino), presenta una larghezza di circa 1 metro ed ha un profilo “a scarpa”; il profilo interno è articolato da contrafforti, posti a distanze non regolari, che servivano per garantire un miglior ancoraggio al terreno e per creare la base del cammino di ronda. Dallo scavo del deposito stratigrafico all’esterno del muro è stata confermata la presenza di un fossato, con tracce di passaggio dell’acqua, ed è stato datato lo smantellamento sistematico dell’apparato difensivo alla fine del XVIII secolo.
Prima della scoperta in Piazza Mons. Grassi si avevano scarse informazioni sul tratto orientale della cinta, verso il torrente Cherasca, in cui si ipotizzava, sulla scorta di una nutrita serie di disegni cinquecenteschi, un ampliamento urbano rispetto al tracciato delle mura romane, difficile però da precisare cronologicamente e “materialmente”. In quest’area compare già in documenti del XIII secolo una porta Castello, poi nota come “del soccorso” o “Cherasca”, la cui presenza pare attestata a lungo, dato che è raffigurata ancora in un disegno militare del 1652.
L’attuale piazza Mons. Grassi, occupata in età romana dalla porta decumana orientale, mantiene la sua importanza nel medioevo e la afferma anche visivamente con la costruzione di una torre, inglobata successivamente nel palazzo vescovile, un vero e proprio “quartiere episcopale” la cui edificazione avrebbe determinato un consistente ampliamento della cinta, come si è detto, ascrivibile sulla base di riscontri cartografici intorno al 1550.
L’importanza storico-architettonica di questo polo urbano orientale ha ricevuto piena conferma dagli scavi archeologi per la posa del teleriscaldamento – realizzati dalla Ditta CO.R.A. Soc. Cooperativa (in particolare responsabile di cantiere è il dott. M. Cavaletto) – che hanno messo in luce una sequenza stratigrafica articolata e di grande interesse per la conoscenza della facies medievale della città di Alba.
Sotto l’acciottolato che doveva costituire il piano d’uso più recente collegabile alle strutture della porta, ancora utilizzate anche se parzialmente private del paramento in mattoni sul lato interno, uno strato di riporto copriva la rasatura della volta di una canala, di cui una spalletta risulta tangente la struttura della porta. Si tratta probabilmente di un condotto fognario in uscita che doveva scaricare nel fossato esterno alla cinta; è stato verificato che il condotto risulta quasi coincidente con la prosecuzione di quello romano sottostante il decumano (corrispondente con l’attuale Via Acqui). Il condotto è tagliato e obliterato da una struttura abbastanza poderosa ma costruita a secco, che sembra collegabile a una probabile tamponatura della porta. Quest’ultima è costruita successivamente al muro di cinta medievale, dotato in una prima fase solo di una probabile apertura verso il Cherasca con un piano di calpestio non più conservato allo stato attuale dell’indagine (sono in corso approfondimenti); la porta ha un paramento in mattoni che nello spigolo reimpiegano sesquipedali opportunamente sagomati
Il materiale ceramico, utile per proporre una prima attribuzione cronologica delle strutture messe in luce, purtroppo è molto scarso: è costituito da invetriata tarda (XVII secolo) correlabile al piano in acciottolato e da un frammento di graffita, probabilmente di XV-XVI secolo, riferibile al muro a secco; anche la costruzione della porta è riconducibile, sulla base del materiale ceramico al XV secolo.
Rimane dunque da approfondire con l’avanzamento della ricerca la cronologia ma anche la funzione di alcuni tratti murari emersi durante lo scavo; la presenza del quartiere episcopale può aver giocato un ruolo basilare riguardo la costruzione di edifici e strutture a ridosso o sopra le mura, soprattutto se si considera che spesso i vescovi, sin dall’età carolingia, sono stati promotori della ricostruzione di numerosi circuiti murari urbani, di cui divennero anche proprietari.
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