Intervista a Gianmarco Gastone. “Costa campana e Siqilliyya: Status quaestionis”

Che cosa è il Mediterraneo? Mille cose insieme.
Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi.
Non un mare, ma un susseguirsi di mari.
Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre…
un crocevia antichissimo.
Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia:
bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere (F. Braudel)

 

In generale qual è il tuo progetto di ricerca e perché lo hai scelto?

Il progetto di ricerca ha essenzialmente tentato di fornire una risposta ad una domanda storiografica:

“Può l’archeologia – con i metodi che le sono propri – contribuire alla ricostruzione della vicenda della presenza islamica sulla costa campana nei secoli altomedievali?”

Porsi questa domanda significava da parte mia operare una sorta di rovesciamento. Infatti, sull’onda di alcuni nuovi studi storiografici, anziché analizzare i processi storici di questa regione dal continente, ho adottato sin dall’inizio una prospettiva mediterranea, un aspetto che, paradossalmente, è stato molto spesso sottovalutato da pur insigni studiosi. Ponendo in rilievo la dimensione mediterranea di città come Napoli o Salerno, non potevo non incontrare individui di fede islamica, i dominatori del Mediterraneo centrale tra l’VIII e l’XI secolo. In questi secoli, calato verticalmente in quello che era stato il mare nostrum romano, il Mezzogiorno è terreno di scambi, rapporti, integrazioni e scontri tra popolazioni estremamente differenti per lingua, fede, tradizioni e stili di vita: vi si potevano incontrare latini (la maggior parte), greci, ebrei, armeni, islamici. All’interno di quest’ultimo insieme vi si potevano individuare andalusi, greci divenuti musulmani, nordafricani e, soprattutto, siciliani, provenienti da un’isola che in questo periodo era musulmana.  Uno dei motivi principali che mi ha spinto ad affrontare questo tema è anche la mia passione per la civiltà mediterranea – dalle sue espressioni più antiche a quelle più recenti – oltre che per la cultura napoletana. Questo motivo di interesse è ben sintetizzato dalle parole di Braudel. Ho ricevuto un aiuto fondamentale nella realizzazione di questo progetto e nella coltivazione di questa mia passione anche dalle suggestioni e dai suggerimenti della mia docente relatrice Lebole Chiara Maria, che mi ha accompagnato in questi sei anni.

Siamo purtroppo  abituati a vedere la civiltà islamica in contrapposizione violenta alla nostra, anche in termini di narrazione e ricerca storica… solo guerra e saccheggi o c’è stato altro?

Numerosi furono gli scontri ma altrettanto lo furono gli incontri. Furono i cronisti cristiani dell’epoca e gli studiosi, anche prestigiosi, che si sono interessati a queste vicende dal XIX secolo a questa parte a creare quello che viene chiamato “il paradigma della scorreria”: l’idea secondo la quale i rapporti tra Cristiani e “Saraceni” fossero caratterizzati esclusivamente da episodi bellici. Gli ultimi studi storiografici – basati su fonti in lingua latina, greca e araba – e anche il mio studio archeologico parlano anche di altro. Commerci e scambi tra terra campana e Sicilia islamica non mancarono: ho avuto la possibilità di studiare anfore palermitane ritrovate nei pressi di Salerno. Le anfore non erano altro che quei contenitori dentro cui veniva versato il prodotto da vendere nelle diverse città mediterranee. Essendo vasi dall’imboccatura stretta, dovevano contenere liquidi: vino (anche se la Sicilia era islamica non ci si esime dal produrlo e consumarlo), sciroppo di canne da zucchero ma anche pesce salato. Non solo episodi bellici quindi, ma anche scambi. Consideriamo inoltre che il grande mondo islamico aveva forte bisogno di legno, decisamente poco abbondante in Nordafrica. Esso doveva essere comprato e spesso i manti boschivi del Cilento, oltre che della Sicilia, potevano sopperire a questa mancanza: ricordiamoci che il legno era fondamentale per la costruzione delle navi e nell’architettura… Anche se non l’ho studiata in maniera specifica, il ruolo di Amalfi fu importante in questi rapporti: segnalo l’attività del Centro di Cultura e Storia Amalfitana il cui presidente Michele Cobalto mi ha appoggiato nella realizzazione di questo progetto di ricerca, sia nella biblioteca amalfitana che via e-mail.

Qual è la scoperta che più ti ha emozionato?

Nonostante l’importanza delle anfore, la scoperta che maggiormente mi ha colpito è stata la tomba islamica trovata nel 2015 in piazza Municipio, non lontana dal centro cittadino. Allo stato attuale delle conoscenze, costituisce la prima tomba islamica medievale ritrovata nell’Italia peninsulare. Non ci è rimasto il suo nome, né una parte del corredo, né una parte degli abiti… Come si fa a capire che questo individuo era musulmano? Per l’orientamento del corpo e la posizione: era sepolto sul fianco destro, con il viso e il corpo orientati verso La Mecca. Il ritrovamento di una sepoltura è solo un primo tassello per ricostruire la presenza di persone musulmane nel Mezzogiorno nel medioevo. Risulta però interessante notare che la sua presenza doveva presuppore un qualcuno che sapesse officiare il rito funerario islamico, molto articolato. A questa tomba si aggiungono i monumenti funerari in caratteri cufici conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, datati però tra X e XI secolo e di provenienza incerta. Segnalo la gentilezza della funzionaria della Soprintendenza Archeologica di Napoli, Vittoria Carsana: è stata lei a segnalarmi questo ritrovamento, da lei stessa effettuato.

In generale quali sono i ritrovamenti archeologici che meglio funzionano da indicatori risolutivi per quello che riguarda il dibattito storico?

Dal punto di vista storico, i migliori indicatori in questa ricerca sono costituiti dalle anfore, chiara prova dei commerci che dovevano legare Campania cristiana e Sicilia islamica, e dalla tomba, prova significativa dell’effettiva presenza di musulmani nella Napoli di IX secolo. I reperti storico-artistici come gli elementi architettonici sono invece di più difficile interpretazione, anche se più appaganti da un punto di vista estetico: il linguaggio dell’immagine si presta a infinite interpretazioni e, in più, essi sono stati ritrovati in contesti non archeologici, ancora più difficilmente analizzabili. Le prove archeologiche sono però ancora insufficienti per delineare delle conclusioni definitive. Detto ciò, la costruzione della metropolitana e i numerosi restauri in corso a Napoli permettono l’avanzare degli scavi archeologici. Inoltre, mancano ancora studi approfonditi a livello di toponomastica, urbanistica, oltre che ad un confronto con gli scavi in Provenza, significativi a livello storico per ricostruire legami tra Sud e Nord del Mediterraneo che non ci aspetteremmo per un periodo considerato erroneamente oscuro come l’Alto Medioevo.

Discussione della tesi davanti alla commissione

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