Vita, opere, pensiero. 

Roberto Longhi, storico e critico d’arte

Roberto Longhi, modenese di famiglia ma albese di nascita, nacque ad Alba il 28 dicembre del 1890. In tale città avvenne la sua prima formazione presso il regio liceo Govone di Alba, proseguita poi a Torino con l’iscrizione alla facoltà di lettere all’Università di Torino. Durante il primo anno di studi torinesi egli frequentò le lezioni di storia dell’arte di Pietro Toesca, allievo di Aldolfo Venturi, le quali vertevano sulla “Pittura in Italia e Oltralpe nella prima metà del ‘400”. In tali lezioni Toesca aveva dato trasmissione del proprio metodo di studio in base al quale l’opera d’arte dovesse essere studiata in relazione alle precedenti, ma tenendo conto di un proprio valore intrinseco. Il 1910 è l’anno di svolta per Longhi in quanto, scartata l’idea di una tesi di laurea sui castelli del Monferrato egli si rivolge verso Michelangelo Merisi, Caravaggio. Nell’estate dello stesso anno egli iniziò un viaggio per la penisola, toccando le località dove vi era stato il passaggio di Caravaggio e dei suoi seguaci: Roma, Napoli, Catania, Siracusa, Firenze, Bologna. La tesi venne discussa nel dicembre del 1911, la quale porta con sé in primis il metodo di Toesca per quanto riguarda lo studio di Caravaggio in legame ai suoi parenti più prossimi come Orazio Gentileschi, Lionello Spada, Carlo Saraceni, e la filosofia dei “valori tattili” di Bernard Berenson.

Dopo il corso per allievi ufficiali, nel 1912, egli entrò nella scuola di specializzazione di Adolfo Venturi a Roma e sempre negli stessi anni venne continuata la collaborazione con il giornale “La Voce” di Giuseppe Prezzolini. Durante tali anni il suo interesse per la Storia dell’arte spaziò da Tintoretto e la scuola veneziana a Piero della Francesca, approdando a esisti attribuzionistici e interpretatativi. Durante il soggiorno a Roma Longhi iniziò a intrattenere uno scambio epistolare con Bernard Berenson fino ad offrirsi come traduttore della sua opera Italian Paiters of the Renaissance. Accanto all’influenza di Berenson si fecero sempre più forti le teorie della pura visibilità ricavate dagli scritti di Fiedler e Von Hildebrand.

Nel 1913 a seguito della morte del padre e del ricovero del fratello presso la casa di cura di Racconigi, Roberto Longhi si aprì alla carriera giornalistica e didattica. Dalle lezioni presso i licei romani nacque Breve ma veridica storia della pittura italiana, mentre nel campo giornalistico egli diventò collaboratore con la rivista “L’arte” fondata da Adolfo Venturi. Per tale testata egli pubblicò degli articoli monografici sui primi caravaggeschi come Gentileschi padre e figlia (1916), Orazio Borgianni (1914), Battistello (1915).

Anna Banti, pseudonimo della scrittirce Lucia Lopresti, moglie di Roberto Longhi

Nel 1914 uscì Scultura futurista: Boccioni col quale Longhi si affermò come il più lucido critico dell’avanguardia futurista. Tuttavia dal maggio al dicembre 1914 venne richiamato alle armi anche se riuscì a limitare al minimo il coinvolgimento con gli eventi bellici e nel 1915, compì un viaggio di studio nell’entroterra veneto da cui nacque Note d’arte in zona di guerra. Gli anni di guerra portarono Longhi ad avere dei ripensamenti teorici che convogliarono nell’Identità formale delle “arti belle” od anche l’arte figurativa in cui desiderava dotare di indipendenza filosofica il linguaggio visivo. Nel 1920-22 Roberto Longhi compì un viaggio in Europa che gli permise, attraverso la visione di raccolte private, antiquari, esposizioni, musei, un perfezionamento sulla conoscenza del Seicento Europeo e del Quattro-Cinquecento italiano. Al suo ritorno in Italia egli esercitò la libera docenza presso l’Università di Roma, il cui corso, dedicato all’identità teoretica e storica delle arti, prendeva di mira l’estetica crociana. Nei corsi successivi egli analizzò la pittura spagnola dal XIV al XVII e la pittura francese e italiana dal neoclassicismo a oggi (1926-27).

Nel 1926 iniziò la collaborazione con “Vita Artistica” di cui, dal 1927, assunse la direzione insieme ad Emilio Cecchi, con il quale fonderà l’anno successivo la rivista “Pinacotheca”. Nel 1927 pubblicò il Piero della Francesca, la celebre monografia tradotta immediatamente in lingua francese (1927) e subito dopo in inglese (1931). Nel 1934 seguì l’Officina Ferrarese (1933), elaborata sull’onda dell’esposizione dedicata alla pittura ferrarese del Rinascimento e con la quale riuscì a vincere il concorso per la cattedra di Storia dell’Arte Medievale e Moderna all’Università di Bologna.

Tra il 1935 e il 1936 organizzò la Mostra del Settecento bolognese. Accanto agli interessi moderni ricorsero sempre gli interessi contemporanei, testimoniati dalla monografia dedicata a Carlo Carrà (1937), e accresciuti dall’intensa frequentazione con Giorgio Morandi.

Nel 1939 si trasferì a Firenze dove diresse (dal 1938 al 1940), insieme a Ranuccio Bianchi Bandinelli e a Carlo Ludovico Ragghianti, la rivista “La Critica d’Arte”. Risalgono a questi anni i Fatti di Masolino e di Masaccio (1940) e il Carlo Braccesco (1942); mentre Il Viatico per cinque secoli di pittura veneziana (1946) – che segue la mostra allestita nel 1945 da Rodolfo Pallucchini – fu il preludio alla successiva e intensa collaborazione ad “Arte Veneta” (1947-1948).

Nel 1943 uscì il primo annuario di “Proporzioni” (seguiranno altri tre numeri nel 1948, 1950 e 1963), che conteneva tra l’altro il noto saggio dedicato agli Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia.

Nel 1950 nacque la rivista “Paragone” che diresse fino alla morte e alla quale ha affidato importanti editoriali di politica culturale e saggi su vari argomenti storico artistici. Nel 1949 viene chiamato all’Università di Firenze. Longhi ha ideato e diretto le memorabili mostre bolognesi su Giuseppe Maria Crespi (1948) e sulla pittura bolognese del Trecento (1950), e quella celeberrima organizzata a Milano su Caravaggio e i caravaggeschi (1951), cui seguirà nel 1952 il volume monografico sul maestro lombardo.

Nel 1953 con l’esposizione milanese I pittori della realtà in Lombardia venne esplorata una tendenza espressiva che ha caratterizzato per diversi secoli quest’area artistica. Negli stessi anni lavora con Umberto Barbaro alla creazione di documentari su artisti (Carpaccio, Caravaggio, Carrà). Al 1956 risale il volume su Il Correggio e la camera di San Paolo a Parma. Alla sua morte il 3 giugno del 1970, per volontà testamentaria, lasciò “per vantaggio delle giovani generazioni” la collezione d’arte, la fototeca e la biblioteca custodita nella villa di via Fortini dove oggi ha sede la Fondazione che porta il suo nome.

In tutti i suoi anni Longhi si soffermò su un metodo di analisi critica diversa, un approccio nuovo che si rivela in primis nello studio del ‘600: egli limita la portata di Bernini in scultura e del Bacciccia in pittura per soffermarsi su tutti quegli artisti caduti nell’oblio come Gentileschi, Battistello e altri all’interno delle cui opere egli cerca l’intuizione profonda della personalità dell’artista e cerca la “cultura”, ovvero l’impulso che ha diretto la creazione dell’opera stessa. Longhi con il suo caratteristico linguaggio si pone all’interno dell’opera, investe il personaggio e ne traccia il proprio divenire nei suoi valori formali e visuali, rispettosi di quel “disegno storico” basato sullo stile libero da fini psicologici-esistenziali. Un passo che attesta al meglio tale poetica di Longhi è la descrizione della Maddalena di Caravaggio: “ Quanto alla Maddalena (…) non so s’egli si lasciasse suggerire dai motti proverbiali di popolo sulle ragazze traviate e ravvedute, ma è pur certo che, in confronto alle cortigiane di lusso fattesi pinzochere, preferite dai manieristi, il pensiero di dipingere un po’ dall’alto, a specchio inclinato, la povera cinciarella tradita, mentre, lagrimuccia sulla gota, profitta della inutile attesa per lasciarsi asciugare i capelli dal sole che filtra nella stanzetta smobiliata (e l’ombra cresce in tralice sul muro), fu uno dei più alti del giovane artista, e dei più irregolari quando si rammenti la stupefazione di un biografo che, dopo aver descritto l’opera, esclama: e la finse per Maddalena …”.